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Cesare Sacchetti

La crisi tra Germania e USA può portare alla fine dell’euro?

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Categorie: Euro

14/05/2019

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di Cesare Sacchetti

I rapporti tra Germania e Stati Uniti “sono a brandelli”. Così si è espresso il giornalista Daniel Broessler sul quotidiano tedesco Suddeutsche Zeitung, per definire l’attuale stato della relazione tra Berlino e Washington.

La recente cancellazione dell’incontro tra Mike Pompeo, segretario di Stato USA, e il cancelliere tedesco, Angela Merkel, è sembrato essere solo l’ultimo capitolo di un rapporto che si è deteriorato progressivamente dall’inizio dell’amministrazione Trump.

A pochi mesi dall’insediamento alla Casa Bianca di Trump, partì già un primo siluro diretto contro Berlino, lanciato da Peter Navarro, economista e assistente del presidente americano, che accusò la Germania di sfruttare una “moneta grossolanamente svalutata”, l’euro.

Successivamente sono seguite le frequenti minacce di Trump di ricorrere ai dazi sulle esportazioni di auto UE, Germania in primis.

Da tempo, economisti di differenti orientamenti accademici, hanno definito l’enorme surplus commerciale tedesco come fonte di forte stabilità per il commercio mondiale e conseguentemente per gli equilibri geopolitici internazionali.

Il problema era noto anche alla amministrazione Obama, ma gli Stati Uniti non avevano mai avuto un atteggiamento così ostile nei confronti dei tedeschi.

La ragione va individuata principalmente nella nuova dottrina geopolitica insediatasi alla Casa Bianca con l’elezione di Trump.

Se fino al 2016, gli USA non avevano mai messo in discussione il loro ruolo di garante dell’ordine liberale internazionale fondato sulla supremazia delle organizzazioni sovranazionali rispetto a quella degli stati nazionali, l’avvento del principio dell’America First ha cambiato completamente l’approccio di Washington.

La nuova amministrazione non ha difficoltà a definire come “nemica” un’organizzazione sovranazionale, l’UE, disegnata alla tutela degli interessi franco-tedeschi, con i secondi spesso prevalenti sui primi.

Non è un caso che mentre i rapporti tra Washington e Berlino peggioravano progressivamente per il nuovo approccio ostile degli USA verso l’UE, miglioravano asimmetricamente quelli tra Roma e la Casa Bianca.

Le ragioni sono semplici, quanto intuitive. Se l’euro ha consentito alla Germania di emergere come indiscussa vincitrice nell’agone europeo, l’Italia ne è uscita specularmente indebolita.

L’ultima ricerca pubblicata proprio da un istituto economico tedesco, il think-tank CEP, ribadisce la storia della moneta unica che ha visto perdere più di tutti il Belpaese.

Dopo aver innalzato i dazi alla Cina per un ammontare pari a 200 miliardi di dollari di beni importati da Pechino, il prossimo ad essere colpito da questa misura sembrerebbe essere proprio l’UE, in particolare la Germania.

Trump e Angela Merkel al G-7 del 2018 in Canada

Trump in questo momento sembra solo aspettare la tempistica migliore per dare il colpo definitivo a Berlino, le cui prospettive di crescita quest’anno potrebbero essere presto tagliate nuovamente.

Dazi USA contro l’UE dopo le europee?

Con ogni probabilità, il presidente americano attenderà la fine della campagna elettorale per le europee e la formazione del nuovo Parlamento UE.

Sarà proprio la composizione dei gruppi a decidere i rapporti di forza in Europa.

Se è senz’altro vero che fino a questo momento le elezioni europee sono stata accompagnate da relativo disinteresse e apatia, è altrettanto vero che questo appuntamento non è mai stato importante come prima d’ora.

Alcuni osservatori hanno rilevato che i poteri in dote al Parlamento UE sono pochi per poter sperare di cambiare gli equilibri a Bruxelles, ma non viene preso in considerazione che le sue limitate prerogative, tra le quali c’è  l’elezione del presidente della Commissione UE, possono bastare a portare alla paralisi delle istituzioni comunitarie.

Lo stesso think-tank pro-UE, l’ECFR, European Council of Foreign Relations, che annovera tra i suoi membri euristi di ferro come Romano Prodi ed Emma Bonino, non ha difficoltà a riconoscere che un’aula parlamentare con i sovranisti al 33% o oltre potrebbe impedire l’elezione del presidente della Commissione UE.

E’ uno scenario inedito, dal momento che nel prossimo europarlamento i sovranisti avranno sicuramente una forza che non hanno mai avuto fino a questo momento.

Gli ultimi sondaggi confermano che, se uniti, gli euroscettici conservatori potrebbero avere il più numeroso gruppo al Parlamento UE, con una quota pari a 184 seggi.

Se a questo quadro di instabilità, si aggiunge la possibilità di dazi americani sui beni esportati dall’UE, le fondamenta del fragile edificio comunitario, soprattutto quelle della moneta unica, verrebbero messe a dura prova.

In tutto questo, l’Italia riveste un ruolo da giocatore fondamentale, tale da spostare gli equilibri a favore di una delle due parti.

Lo sa Washington, ma lo sa anche Bruxelles che non solo non nasconde, ma incoraggia apertamente i tentativi di sostituzione dell’esecutivo giallo-verde con un governo tecnico più prono ai desiderata dell’UE.

Se l’Italia saprà giocarsi le sue carte, potrà incassare un consistente benefit geopolitico dall’imminente scontro tra l’asse franco-tedesco da un lato e l’asse Washington – Roma, con una possibile apertura a Mosca, dall’altro.

La vera sfida ora è mantenere l’unità del governo giallo-verde dal momento che al suo interno ci sono forze che non nascondono le loro simpatie filo-UE e remano in direzione contraria.

Il destino dell’Europa appare dunque rimesso nelle mani di Roma. Il destino di Roma invece è solo nelle mani di Roma.

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