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Spygate: il governo Conte ha accusato falsamente Trump di crimini finanziari?
di Cesare Sacchetti
Se ne sta parlando molto in questi giorni non tanto sui media italiani impegnati nel solito esercizio di lasciare fuori dalle prime pagine gli scandali che impensieriscono davvero il potere.
Si sta parlando molto sulle reti sociali, e soprattutto su Twitter, dello Spygate che è un caso ancora apertissimo. Come disse lo stesso Donald Trump si tratta dello “scandalo più grosso” della storia che ha visto il coinvolgimento della intelligence americana assistita da quella italiana e britannica in una massiccia operazione eversiva contro il presidente degli Stati Uniti.
È una vicenda sulla quale questo blog si è soffermato in diverse occasioni e sulla quale è necessario soffermarsi ancora una volta alla luce di quanto scritto recentemente dal giornalista americano Paul Sperry.
Sperry ha scritto recentemente un tweet piuttosto polemico nei confronti del procuratore speciale John Durham nel quale lo accusa di non aver presentato nemmeno un mandato di comparizione nei confronti di James Comey, ex capo dell’FBI, che ebbe un ruolo chiave nello spionaggio illegale contro Trump, ma di aver emesso ordini di comparizione nei confronti di collaboratori di Trump per fare luce sui presunti crimini finanziari commessi dal presidente americano in base ad una falsa velina diffusa dal governo Conte.
Si tratta di un’inchiesta parallela a quella dello Spygate di Durham e della quale si è parlato poco e che ha come epicentro ancora una volta l’Italia.
Tutto sarebbe partito dal famoso viaggio che lo stesso John Durham fece assieme all’allora ministro della Giustizia, Bill Barr, a Roma nel settembre del 2019 per accertare il ruolo dell’Italia nella cospirazione contro Trump nota come “Russiagate”.
Le origini del complotto contro Trump
Con tale termine ci si riferisce alla macchinazione elaborata da Hillary Clinton e diretta da Barack Obama per screditare l’avversario repubblicano, e dipingerlo falsamente come un agente del Cremlino per estrometterlo così dalla presidenza degli Stati Uniti.
Questo complotto fu possibile solamente grazie al contributo della principale agenzia investigativa americana, l’FBI, che aprì la famigerata inchiesta Crossfire Hurricane per spiare illegalmente Donald Trump e i membri della sua campagna elettorale.
E Crossfire Hurricane fu aperta sostanzialmente in base a due elementi. Il primo è il famigerato dossier dell’ex agente dei servizi britannici, Christopher Steele, che inanellò una serie di calunnie contro Trump per associarlo al Cremlino.
Il secondo è il ruolo che ebbe George Papadopoulos nel marzo del 2016.
All’epoca Papadopoulos era consigliere della campagna di Trump e venne a Roma per partecipare ad un incontro alla Link Campus dove incontrò il noto e misterioso professore maltese Joseph Mifsud.
Questo personaggio assume un ruolo fondamentale nella intera vicenda perché fu lui a gettare un’esca a Papadopoulos facendogli credere di essere in possesso delle famose e compromettenti email della Clinton.
Mifsud si finge un conservatore interessato a servire la causa dell’allora candidato repubblicano Trump quando in realtà lui stesso in un’intervista successiva a La Repubblica si dichiarò membro della Clinton Foundation.
Sono gli stessi ambienti democratici e dell’anglosfera che gravitano attorno all’università Link Campus.
Papadopoulos non si accorse della trappola che gli stavano tendendo e nel maggio del 2016 rivelò quanto gli aveva riferito Mifsud ad un diplomatico australiano, Alexander Downer, anche lui vicino ai Clinton, che informò l’FBI che così ottenne il pretesto che stava cercando per mettere sotto inchiesta Trump.
La macchina della sovversione internazionale si era dunque pienamente già messa in moto in quel periodo. Quando Trump chiese a William Barr di fare luce su questo complotto ai suoi danni, Barr nominò il procuratore speciale John Durham per risalire ai responsabili di questo golpe internazionale.
L’amministrazione Trump vuole fare luce sul ruolo dell’Italia
Nella metà del 2019 durante gli ultimi mesi di vita del governo gialloverde arriva la richiesta dell’amministrazione Trump di fissare un incontro con la parte italiana per fare luce su quanto accaduto nel 2016.
Mifsud all’epoca era già irreperibile e si pensa che tuttora sia protetto dai servizi italiani che lo starebbero nascondendo per via del suo ruolo cruciale in questa storia.
Barr e Durham vogliono vederci chiaro e vengono a Roma in due occasioni. La prima nel Ferragosto del 2019 quando si incontrano con Gennaro Vecchione, allora direttore del DIS, il dipartimento di informazioni per la sicurezza, ovvero quella struttura che coordina l’intero apparato della intelligence italiana.
La seconda occasione nel settembre del 2019 quando Barr e Durham incontrano all’ambasciata americana di via Veneto a Roma tutto lo stato maggiore dei servizi segreti italiani che all’epoca era composto dal già citato Vecchione, dal direttore dell’AISE, Luciano Carta, e dal direttore dell’AISI, Mario Parente.
Gli uomini del governo americano vogliono capire quale sia il ruolo dell’Italia e dei suoi servizi in questa storia e accertarsi se ci sia stato o meno un inedito attacco alla sovranità americana da parte di quello che è storicamente un alleato di Washington.
Uno dei protagonisti dell’incontro, Vecchione, nega che nel corso degli incontri si sia parlato di “argomenti riservati, confidenziali, connessi alla visita o comunque riferiti a vicende e a personaggi politici italiani e stranieri.”
Per l’allora direttore del DIS questi incontri avevano solamente il carattere di pranzi “conviviali” nei quali non si sarebbero affatto affrontati gli spinosi nodi della vicenda Spygate.
Ma Vecchione è stato smentito sia dai diretti interessati quali Barr e Durham sia dai media mainstream americani in quello che è un bizzarro e comico corto circuito.
Nel corso dell’incontro tra i tre uomini dei servizi italiani e i membri della delegazione americana si sarebbe prima ascoltato un nastro registrato di Mifsud nel quale avrebbe detto di essere sparito perché “teme per la sua vita”.
Il governo Conte ha accusato Trump di reati finanziari?
Successivamente gli uomini della delegazione italiana non solo avrebbero negato ogni coinvolgimento nel complotto contro Trump ma avrebbero persino fatto qualcosa di peggio.
Avrebbero accusato Trump stesso di illeciti finanziari.
È stato il New York Times a riportare questo retroscena in un articolo del gennaio del 2023. Ed è lo stesso retroscena confermato dal giornalista conservatore Sperry citato in precedenza.
Il fatto che fonti di carattere completamente diverso confermino questo scenario ne rafforza certamente la veridicità.
Le conclusioni del New York Times e di Sperry sono ovviamente divergenti. Per il quotidiano newyorchese Trump avrebbe commesso quei reati mentre per Sperry l’informazione passata dai servizi italiani agli americani è falsa.
A breve si vedrà come sia Sperry ad avere ragione ma ciò che sembra confermato è come l’intelligence italiana abbia mosso queste gravi accuse al presidente degli Stati Uniti che aveva mandato la sua delegazione a Via Veneto.
Parlare di “schiaffo istituzionale” è riduttivo. È un vero e proprio affronto a Trump che voleva approfondire il ruolo dell’Italia nel golpe e invece si è ritrovato a doversi scrollare di dosso una nuova calunnia da parte del governo Conte.
Barr e Durham apparentemente non hanno ricavato nessuna informazione utile se non quella falsa ai danni di Trump.
Il procuratore speciale infatti forse per apparire al di sopra di ogni sospetto apre un’inchiesta parallela per verificare quanto riferito loro dalla controparte italiana e non trova ovviamente nulla di penalmente rilevante.
Restano altri interrogativi irrisolti intorno a questa vicenda. Conte aveva autorizzato gli incontri con la delegazione di Trump già nell’estate del 2019. Quando fu convocato davanti al Copasir per relazionare l’oggetto di questi incontri, l’ex presidente del Consiglio negò che Barr e Durham erano venuti a Roma per indagare sul ruolo dei governi italiani nello Spygate ma solamente per indagare sugli agenti americani.
Se fosse così, non si comprende bene il motivo del viaggio ufficiale a Roma. Se Barr e Durham avessero voluto indagare solo sul comportamento infedele di alcuni agenti americani non avrebbero ascoltato la registrazione di Mifsud, vicino all’intelligence italiana, e non avrebbero chiesto conto all’Italia del suo ruolo nella vicenda.
La riluttanza di Conte ad ammettere che gli americani erano venuti a Roma per chiarire il ruolo dell’Italia nello Spygate era dovuta dal non voler suscitare le ire dei suoi nuovi alleati, Renzi e il PD in primis, che facevano parte di quei governi che avrebbero cospirato contro Donald Trump, ovvero i governi Renzi e Gentiloni.
Non è stato mai chiesto però all’ex presidente del Consiglio nel corso della sua audizione al Copasir se i massimi vertici dei servizi italiani avevano rivolto tali accuse a Trump e se lui aveva autorizzato a trasmettere quelle informazioni, rivelatesi poi false, agli americani.
In questo caso Conte, al contrario di quanto è stato detto dai media mainstream e da qualche falso contro informatore italiano, avrebbe assolto bene al suo compito.
Barr e Durham non solo si sarebbero trovati di fronte il muro di gomma dei servizi italiani ma si sarebbero visti mettere sul tavolo dalla delegazione italiana l’accusa di reati finanziari contro Trump.
A questo punto, la vicenda dello Spygate si snoderebbe su almeno tre esecutivi secondo le fonti vicine al caso.
I governi Renzi e Gentiloni che secondo Papadopoulos e l’ingegnere Giulio Occhionero avrebbero attivamente aiutato Barack Obama a incastrare Donald Trump e il governo Conte che, secondo il New York Times e Paul Sperry, avrebbe rilanciato accusando il presidente americano di altri reati.
Trump aveva perfettamente ragione. È uno scandalo enorme. Non solo il più grave della storia d’America ma anche della storia d’Italia. È difficile ricordare un così grave scandalo che coinvolge i massimi membri delle istituzioni italiane in un’operazione sovversiva ai danni di un presidente straniero.
Quando scoppiò lo scandalo della P2 si vide come la massoneria controllava ogni ganglo strategico dello Stato.
Stavolta vediamo che le forze eversive che controllano la Repubblica si sono spinte persino oltre in un atto di aggressione senza precedenti nei confronti del presidente della prima superpotenza mondiale.
Ciò rimanda inevitabilmente a quella condizione di stretta dipendenza che vede lo stato profondo italiano soggetto a quello di Washington. È quest’ultimo che controlla il primo ed è quest’ultimo che ha in mano le sorti dell’Italia dal 1945.
Donald Trump rappresentava una minaccia esistenziale per entrambi e la parte italiana non si è sottratta ad eseguire gli ordini pur di restare avvinghiata al suo potere.
Ciò che emerge da questa storia è che l’establishment italiano ha messo tutte le sue energie per provare a distruggere Donald Trump e ha fallito miseramente.
Lo stato profondo italiano si ritrova ora privo della protezione del suo referente e si trova di fronte la prospettiva di dover rispondere di questa interminabile sequela di atti eversivi contro il presidente degli Stati Uniti.
Uno scenario che si fa sempre più vicino di fronte al probabile ritorno ufficiale di Trump alla Casa Bianca nel 2024.
Il tempo a disposizione per i cospiratori sembra veramente agli sgoccioli.
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I nodi prima o poi vengono al pettine, e quello di ‘Giuseppi’ è stato un tradimento fatale.
D’altronde dopo aver avallato le peggiori misure repressive della storia in epoca moderna con il c.d. ‘covid’ aprendo di fatto la strada al resto d’europa e del mondo (siamo stati la cavia mondiale delle restrizioni) e ad aver poi distrutto quel che restava dell’economia italiana avallando le sanzioni alla Russia, ci ha praticamente portato alla rovina finale.
Che Trump possa far giustizia la vedo difficile, salvare l’Italia è ormai impegno quasi impossibile a meno di una vera rivoluzione politica che spazzi via tutte le caste e i partiti attuali per ripartire da zero. Da sovrani. Eliminando anche di tutte le basi americane.
Utopia.