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Regno Unito:”gli immigrati abbassano i salari dei britannici”
di Cesare Sacchetti
Il corposo rapporto di 140 pagine pubblicato recentemente dal MAC, acronimo che sta per Migration Advisory Commitee, la commissione di consulenza sull’immigrazione britannica, analizza le conseguenze provocate dall’immigrazione nel Regno Unito negli ultimi decenni.
La commissione, presieduta dal professor Alan Manning della London School of Economics, suggerisce un approccio completamente diverso nel gestire i fenomeni migratori nei prossimi anni, in particolar modo a partire dall’effettiva realizzazione della Brexit, che è prevista per il marzo del prossimo anno.
Secondo il MAC, fino ad ora il Regno Unito ha favorito un’immigrazione prevalentemente dai paesi dell’EEA, l’European Economic Area, lo spazio economico europeo costituito dai 28 stati membri dell’Unione Europea assieme a Norvegia, Islanda e Liechtenstein.
In particolare, dal 2004 in poi, è cresciuto particolarmente il numero dei lavoratori proveniente dall’Europa dell’Est, in corrispondenza dell’allargamento dell’UE in quel periodo a paesi come Estonia, Polonia, Slovacchia, Ungheria fino all’adesione successiva di Bulgaria e Romania nel 2007.
In questo arco temporale, i lavoratori provenienti dal blocco dell’Est Europa è quadruplicato, passando da 500mila a 2 milioni, e le conseguenze maggiori di questo aumento sul mercato del lavoro britannico sono state una flessione verso il basso dei salari dei lavoratori britannici.
L’ingresso di lavoratori poco qualificati ha difatti, secondo il rapporto, “ridotto la crescita dei salari dei lavoratori meno retribuiti.”
A pagare le conseguenze dell’ondata migratoria sono stati in particolare i giovani e le persone con pochi titoli di studio, categorie nelle quali i livelli di disoccupazione sono cresciuti consistentemente.
Il rapporto quindi smentisce definitivamente la retorica immigrazionista secondo la quale non esiste alcuna correlazione negativa tra immigrazione e salari.
La correlazione c’è, ed è piuttosto stretta per quello che riguarda in particolare le categorie di lavoratori locali che svolgono mestieri senza qualifiche professionali.
L’immigrazione non ha solo esercitato una pressione deflazionistica sui salari britannici, ma anche prodotto un effetto inflazionistico sul mercato immobiliare.
In corrispondenza dell’ondata migratoria, secondo il rapporto, “ci sono evidenze che l’immigrazione ha provocato un aumento dei prezzi delle case. L’impatto in particolare è stato più elevato nelle aree con politiche di pianificazione urbane più contenute, dove è più difficile per il mercato immobiliare soddisfare la crescente domanda.”
Ma questo non è l’unico effetto negativo che il fenomeno migratorio ha avuto sul mercato immobiliare.
I britannici si sono visti penalizzati anche nel settore delle politiche di edilizia sociale, dal momento che i nuovi appartamenti realizzati dalle amministrazioni locali sono andati principalmente agli immigrati dei nuovi stati membri.
Nel rapporto si rileva che qualora dovessero esserci nuove politiche sociali per le case popolari, i potenziali beneficiari britannici potrebbero vedersi notevolmente danneggiati e restare privi di alloggio, nonostante abbiano tutti i requisiti per accedervi.
E’ per questo che la commissione sull’immigrazione suggerisce una politica del tutto diversa nella gestione delle politiche migratorie in futuro per il Regno Unito.
Il professor Manning raccomanda di aprire il mercato britannico a lavorati altamente qualificati che abbiano una produttività maggiore e salari più elevati, così da aumentare il gettito fiscale per le casse pubbliche.
Sebbene alcuni settori dell’economia britannica abbiano ricavato benefici dalla deflazione salariale provocata dall’immigrazione, per la commissione questi benefici verranno abbondantemente superati dalla nuova immigrazione costituita da lavoratori specializzati.
Restano comunque le indicazioni di fissare una soglia minima salariale per questi lavoratori, assieme ad una tassa sull’immigrazione di 1000 sterline che i datori di lavoro devono pagare per assumere gli stranieri, in modo da garantire la preferenza ai britannici sul posto.
Esistono quindi diversi tipi immigrazione, e il Regno Unito punta a quella di eccellenza che spinge verso l’alto i livelli produttivi del paese.
L’Italia invece negli ultimi decenni ha aperto le porte quasi esclusivamente a quella di paesi del terzo mondo o dell’Est Europa. L’auspicio è che il governo del cambiamento possa seguire l’esempio del Regno Unito.
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