Di Cesare Sacchetti La storia dell’Ucraina non è soltanto la storia di un barbaro regime nazista...
La condanna di Ilaria De Rosa: la NATO voleva una rivoluzione colorata in Arabia Saudita?
di Cesare Sacchetti
Ufficialmente la hostess italiana Ilaria De Rosa è stata arrestata e condannata in Arabia Saudita per traffico di droga.
Secondo questa versione dei fatti, la 23enne di Treviso sarebbe stata fermata dalle autorità saudite perché portava con sé degli stupefacenti, apparentemente hashish o marijuana.
Per chi non dovesse avere abbastanza famigliarità con l’Arabia Saudita, questo Paese si può definire senza dubbio come uno dei Paesi più severi al mondo per quanto riguarda il traffico di droga, per il quale è anche prevista la pena di morte.
Se è certamente vero che negli anni passati l’erede al trono saudita, Mohammed bin Salman, nel tentativo di “ripulire” agli occhi dell’opinione pubblica internazionale l’immagine autoritaria e repressiva della monarchia dei Saud, ha “ammorbidito” alcuni divieti imposti dal culto wahabita, i reati di droga restano comunque severamente puniti nel Paese.
Ciò che però non torna nella spiegazione ufficiale fornita dai media è la severità con la quale è stata punita la De Rosa. Se è appunto vero che il consumo di droga è ancora punito è altrettanto vero però che il trattamento riservato ad una hostess, per giunta europea, appare decisamente troppo severo.
In un primo momento si era diffusa la ricostruzione che Ilaria De Rosa, figlia di un ufficiale NATO di stanza a Bruxelles, Michele De Rosa, sarebbe stata arrestata all’aeroporto dopo che nei suoi effetti personali era stato trovato uno spinello.
Poi successivamente la storia diffusa dai media è cambiata nuovamente. Ilaria De Rosa non sarebbe stata fermata all’aeroporto ma in una villa a Gedda la sera del 5 maggio.
In quella villa la hostess era ospite di amici quando ad un tratto hanno fatto irruzione alcuni uomini armati che l’hanno condotta presso la stazione di polizia della città.
Questa versione dei fatti, almeno nella dinamica dell’arresto, risulta essere la più probabile anche in base a quanto alcune fonti di assoluto rilievo hanno riferito a questo blog.
Una fonte di alto livello diplomatico si è messa difatti in contatto con noi e ha fornito una ricostruzione dell’accaduto alquanto diversa.
Ilaria De Rosa intanto non sarebbe solo una semplice hostess. Secondo quanto riferito dalla fonte in questione, in passato la hostess trevigiana avrebbe svolto altri incarichi non ufficiali per l’organizzazione atlantica.
La missione della 23enne in questo caso non avrebbe avuto a che fare con il suo semplice lavoro da assistente di volo. La De Rosa avrebbe ricevuto incarico di trasmettere dei documenti e un messaggio ad un gruppo di persone sul posto, con ogni probabilità dissidenti ostili all’attuale erede al trono Mohammed bin Salman.
Lo scopo di questa operazione sarebbe stato quello di favorire una possibile rivoluzione colorata per rovesciare il principe saudita non più gradito agli ambienti dell’anglosfera.
Ciò potrebbe apparire incomprensibile se si pensa al fatto che l’Arabia Saudita è sin dalla sua esistenza un Paese integrato in tale struttura di potere.
È necessario pertanto un passo indietro per poter comprendere i rilevanti cambiamenti degli ultimi anni che hanno testimoniato l’ascesa dell’attuale erede al trono, Mohammed bin Salman.
L’Arabia Saudita: dalla politica filo-israeliana al mondo multipolare
Mohammed bin Salman è conosciuto da molti per il sanguinoso episodio del 2019 che portò all’uccisione di Khasoggi, il giornalista del Washington Post che fu ucciso in un consolato saudita a Istanbul.
L’erede al trono ha sempre negato ogni responsabilità nel delitto anche se è piuttosto difficile pensare che un’operazione del genere possa essere stata eseguita senza il consenso delle alte sfere della monarchia saudita.
Bin Salman non è mai stato particolarmente popolare negli ambienti Occidentali liberali perché la sua politica veniva giudicata troppo spregiudicata e chiaramente troppo allineata ad Israele.
Gli ambienti di Washington hanno sempre avuto strettissimi rapporti con l’Arabia Saudita dal momento che questo Paese ha avuto un ruolo chiave nel mantenere l’influenza dell’anglosfera in Medio Oriente.
Lo stesso regno saudita nasce negli anni 20 del secolo scorso per espressa volontà degli ambienti britannici e nonostante la sua interpretazione integralista dell’islam attraverso il famigerato sodalizio con il wahabismo che prende il suo nome dal suo fondatore, il teologo Muḥammad ibn ʿAbd al-Wahhāb, non è mai stato un Paese ostile alla lobby sionista.
Piuttosto si è rivelato decisivo nel senso opposto per contenere e assalire l’Iran, il Paese realmente più temuto dagli ambienti israeliani per la sua ferma opposizione ai propositi espansivi dello stato ebraico.
Quando sale al potere nel 2015, Mohammed bin Salman inizia a spostare il baricentro del Paese da Washington a Tel Aviv e nascono conseguentemente una serie di attacchi e clamorose provocazioni a tutti quei Paesi che sono considerati troppo vicini a Teheran.
Tra questi il clamoroso sequestro a Riyadh del primo ministro libanese, Saad al-Hariri, costretto a rilasciare una dichiarazione contro il partito Hezbollah, da sempre storico alleato dell’Iran.
A questo atto di aggressione senza precedenti nella diplomazia internazionale si è aggiunta la sanguinaria e disastrosa guerra nello Yemen, dove i sauditi hanno cercato di rovesciare la fazione degli Houthi, anch’essi molto vicini a Teheran.
La plateale dimostrazione che Mohammed bin Salman aveva plasmato la sua diplomazia da falco spericolato a immagine e somiglianza delle strategie elaborate da Israele venne nel 2017 dalla sensazionale e storica visita del principe saudita in Israele, accolto calorosamente dal primo ministro Netanyahu.
Ora questa politica però ha subito un radicale stravolgimento soprattutto negli ultimi 3 anni. A Riyadh stanno accadendo dei fatti che non hanno precedenti da quando si è instaurata la sua stretta relazione con Washington che risale almeno alla nascita del petrodollaro nel 1973.
La ragione per la quale il dollaro è, o forse dovremmo dire era, la valuta di riserva globale è dovuta principalmente al fatto che i sauditi accettano, o meglio accettavano, esclusivamente la moneta americana per l’acquisto dei loro enormi giacimenti di petrolio.
Non esiste come si vede una ragione economica o monetaria a tale status, ma una puramente geopolitica.
Ora questo ordine o assetto sta cambiando ad una velocità impressionante. I sauditi incredibilmente iniziano a rifiutare le chiamate del presidente degli Stati Uniti, fatto semplicemente inconcepibile una volta.
I rapporti con Teheran, un tempo tesissimi, si stanno facendo sempre più cordiali e i due Paesi hanno già iniziato a ristabilire le normali relazioni diplomatiche.
Solamente lo scorso sabato, il ministro degli Esteri saudita, Faisal, si è recato in visita a Teheran accolto con tutti gli onori dal presidente iraniano Raisi.
Riyadh ha poi presentato domanda di adesione ufficiale ai BRICS, l’alleanza del mondo multipolare, fondata sul rispetto della sovranità degli Stati nazionali e nella quale non domina un attore esclusivo come accade invece nel mondo unipolare dell’anglosfera.
A questo si aggiunga anche che l’Arabia Saudita sta iniziando ad accettare delle valute che non sono il dollaro americano per l’acquisto del suo petrolio come accaduto con lo scellino del Kenya.
Il Paese creato per assecondare gli interessi dell’anglosfera e della potente lobby sionista si sta spostando dai suoi vecchi referenti ad una velocità incredibile.
Ciò non è spiegato da un improvviso cambio di direzione della bussola etica della casa reale saudita ma piuttosto da un’opportunistica analisi della situazione.
I sauditi si sono guardati intorno e hanno compreso che Washington non è più dominata dallo stato profondo e dalle lobby transnazionali come un tempo.
Hanno visto al tempo stesso che il mondo multipolare e la strategia geopolitica della Russia stanno scalzando la NATO ovunque e stanno restituendo potere a degli Stati, soprattutto quelli africani, che non lo hanno mai avuto.
Il cambio di campo di Riyadh è dovuto ad una necessità dei Saud di sopravvivere a tale transizione.
Ciò avrebbe irritato non poco gli ambienti della NATO che furiosi di aver perso la loro “creatura” avrebbero deciso di attuare la strategia sovversiva delle rivoluzioni colorate nelle quali sono esperti.
La De Rosa inviata dalla NATO per aiutare i dissidenti sauditi?
La De Rosa sarebbe stata quindi solamente una pedina utilizzata dall’organizzazione atlantica per mettere in moto tale meccanismo.
Le cose però non sono andate come previsto. I sauditi, a quanto pare, sono stati avvertiti che la hostess trevigiana aveva ricevuto questo incarico e sono intervenuti prontamente.
Quando le autorità saudite sono entrate nella villa citata in precedenza, avrebbero sequestrato dei documenti della NATO alla assistente di volo.
Documenti che avrebbero dovuto essere consegnati ai dissidenti presenti in quella villa e che ora sarebbero nelle mani del governo saudita.
I sei mesi di condanna inflitti alla hostess servono probabilmente alle autorità saudite per estrarre più informazioni dalla donna che forse non ha detto tutto ciò che i sauditi volevano sapere.
Ciò è stato confermato da due fonti diverse, la prima citata prima di rilievo nella diplomazia internazionale; la seconda invece vicina agli ambienti delle istituzioni europee.
Il viaggio di Ilaria De Rosa in Arabia Saudita sarebbe in questo senso una continuazione della strategia atlantista già vista sulla barca affondata nel Lago Maggiore.
Su quella barca non c’era un incontro dei servizi per delineare una strategia di contrasto al fantomatico programma nucleare iraniano che Tel Aviv agita da ormai da 25 anni senza che ovviamente nessuna atomica iraniani si manifesti.
Su quella barca, come riportato da questo blog in precedenza, c’era un incontro di alto livello dei servizi Occidentali e israeliani che stavano studiando una provocazione in Kosovo nel tentativo di aprire un nuovo fronte nei Balcani e distrarre la Russia che in Ucraina sta mettendo a segno vittorie su vittorie.
Il filo che lega questi eventi in luoghi così distanti è quello della sovversione. La NATO sta perdendo il suo potere ed è costretta a pianificare moti e rivoluzioni in diversi Paesi del mondo nel tentativo di recuperare il terreno perduto e fermare il meccanismo che la storia e la geopolitica hanno avviato.
Anche in quest’occasione però il patto atlantico sembra aver racimolato un’altra cocente sconfitta.
Dietro le quinte della diplomazia internazionale, si sta combattendo la guerra dell’intelligence che delineerà i futuri equilibri del mondo.
Ed è questa guerra che l’atlantismo sta rovinosamente perdendo.
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