di Cesare Sacchetti Ancora non si è risolto il mistero dell’omicidio di Brian Thompson, il potente...
Il passaggio di armi italiane dall’Ucraina a Israele e quel giro di soldi sporchi in Albania
Di Cesare Sacchetti
La storia dell’Ucraina non è soltanto la storia di un barbaro regime nazista che si è instaurato al potere nel 2014 in seguito al famigerato golpe di Stato dell’Euromaidan.
L’Ucraina non è “solo” un fondamentale avamposto geopolitico della NATO che ha continuato ad espandersi in tutta l’Europa Orientale nonostante le promesse a Mosca di non allargare i confini dell’alleanza dopo la fine dell’URSS.
E’ anche un centro internazionale del traffico di organi e di corruzione internazionale sul quale i media Occidentali e italiani si sono ben guardati dal posare gli occhi, perché ormai i mezzi di comunicazione di massa in Europa sono ridotti al ruolo di ufficio stampa di Zelensky.
Si scrivono persino storie, come ha fatto recentemente il Corriere, nelle quali si descrivono i mercenari “italiani” che combattono al fianco dei nazisti ucraini come degli “eroi” che si sarebbero schierati a fianco di Zelensky per la causa della “libertà”, quando costoro in realtà stanno combattendo in difesa di un regime che si è macchiato di tremendi crimini di guerra, iniziati non da oggi ma già dopo l’Euromaidan, quando il battagliane Azov massacrava impunemente i civili del Donbass, la cui unica “colpa” era di essere troppo russofoni.
Adesso c’è un’altra storia di corruzione che riguarda l’Ucraina e che i media Occidentali non osano nemmeno menzionare perché sono troppi i soggetti potenti coinvolti, e tra questi ci sono certamente anche i grandi editori della stampa europea che non vogliono aprire il vaso di Pandora degli scandali ucraini.
Zelensky e la rivendita illegale delle armi ucraine
Questa storia riguarda il traffico di armi che passa dai Paesi europei verso Kiev e che a sua volta poi rivende tali armi all’estero, soprattutto a gruppi criminali.
L’Italia, com’è noto, è uno dei Paesi in prima linea nell’inviare armamenti all’Ucraina da quando è iniziato il conflitto, e il primo a trascinare l’Italia in una guerra per procura contro la Russia è stato Mario Draghi, presidente del Consiglio fino all’ottobre del 2022.
Soltanto pochi giorni fa è stato approvato il decimo invio consecutivo di armamenti a Kiev, e anche in tale occasione la lista di ciò che è stato mandato in Ucraina è stata secretata.
A Kiev è giunto molto materiale anche dagli Stati Uniti, ma larga parte di questo si è rivelato non di rado essere un mucchio di ferrivecchi che ormai non sono più adatti per fronteggiare una guerra moderna, tantomeno una con la Russia che negli ultimi 20 anni ha ricostruito interamente il suo arsenale militare, dopo il disastro degli anni’90 ereditato dalla corrotta presidenza di Boris Eltsin, nelle mani dei vari oligarchi di origine ebraica.
Altre armi però erano di notevole fattura e certamente adatte per fare la guerra, ma queste però non sono mai finite in mano ai soldati ucraini.
Zelensky ha infatti iniziato un traffico parallelo, una rivendita clandestina di tutto il materiale che è finito tra le braccia della criminalità organizzata.
Alcune di queste armi di precisione sono persino finite nelle mani di gruppi di criminali “francesi”, in realtà tutti immigrati di seconda o terza generazione di origine nordafricana trapiantati a Parigi, divenuti cittadini francesi grazie alle generose leggi transalpine che assegnano la cittadinanza attraverso l’istituto dello ius soli, vero e proprio cavallo di Troia di quelle ONG sorosiane che aspirano alla sostituzione etnica dei popoli europei.
Se ne diede notizia già su questo blog nel luglio dello scorso anno, quando alcune fonti istituzionali ci segnalarono degli strani movimenti di personaggi legati ai black bloc che si dirigevano verso la Francia passando dal confine con l’Italia nella zona Nord-Occidentale del Piemonte e della Liguria.
All’epoca era in corso quella che sembrava una operazione pianificata dai servizi francesi che volevano servirsi di questi pericolosi soggetti per destabilizzare il Paese e cercare così di attuale la logica della strategia della tensione, della quale si è avuto un saggio già negli ultimi anni attraverso gli attentati di Charlie Hebdo e del Bataclan.
I rivoltosi di Parigi avevano tra le mani però, come accennato in precedenza, non solo le armi comuni utilizzate dai vari gruppi criminali ma delle potenti armi da guerra che vengono generalmente utilizzate su fronti bellici, come appunto quello ucraino e altri teatri di guerra del continente africano.
A sorprendere ancora di più fu il fatto che in Francia le leggi per il possesso di armi sono molto severe e proibiscono categoricamente ad un privato di avere delle armi militari, e ciò vuol dire che i gruppi di migranti delle banlieue devono aver avuto probabilmente qualche entratura nei servizi francesi che hanno agito da tramite per fargli arrivare quel tipo di armamenti, che mai prima d’ora erano arrivate a delinquenti di quel tipo.
Si assistette già in quel caso ad una evoluzione, per così dire, per ciò che riguarda le modalità operative di guerriglia e paramilitari mostrate da parte delle bande delle varie banlieue che riuscirono a mettere a ferro e fuoco intere città senza che le forze dell’ordine potessero o volessero fare alcunché per fermarle.
Il primo segnale che le armi ucraine stavano uscendo dal Paese per finire altrove è stato certamente quello, ma il traffico pare ben più esteso di quello che si pensasse.
Le armi italiane finite a terroristi islamici e Israele
Zelensky avrebbe rivenduto alcune di queste armi ad uno dei suoi alleati privilegiati, lo stato di Israele, il quale poi le avrebbe utilizzate nella campagna genocida contro il popolo palestinese a Gaza, e, più di recente, nella disastrosa invasione libanese, interrotta dallo stato ebraico per le gravi perdite che Hezbollah stava infliggendo agli israeliani.
Zelensky assieme a Netanyahu
A denunciare questo traffico è stato di recente l’Iran che ha invitato Kiev a smettere di rivendere queste armi a gruppi come i cosiddetti “militanti siriani”, che in realtà non sono altro che i soliti gruppi di terroristi islamici penetrati in Siria attraverso il costante sostegno di Israele, dell’Arabia Saudita, del Qatar e degli Stati Uniti, almeno fino all’amministrazione Trump, poiché il presidente americano ha sempre espresso l’intenzione di tirare fuori Washington dal pantano siriano, tanto da provocare più di una frattura con lo storico “alleato” israeliano.
I confini del traffico sono però ancora più estesi e illegali di quelli già denunciati da vari Paesi quali l’Iran.
A confermare che le armi da guerra destinate all’Ucraina sono finite nelle mani di Israele sono diverse fonti dei servizi libanesi, serbi e russi che sono tutti concordi nel dire che questo enorme giro di armi da guerra ucraine ha avuto come principale beneficiario, oltre a terroristi e criminali “comuni”, soprattutto lo stato di Israele.
La torta però è molto grossa e il giro d’affari che ruota attorno a questi trasferimenti è di decine e decine di milioni di euro.
Tutte le cancelliere europee, compresa quella del presidente del Consiglio italiano, Giorgia Meloni, sarebbero al corrente che l’Ucraina rivende le sue armi ad Israele, ma l’nvio degli armamenti a Kiev però non si arresta.
Prosegue invece senza sosta e ciò vuol dire che i Paesi della NATO non stanno solo partecipando ad una guerra per procura contro la Russia, ma anche ad un’altra, ovvero quella contro la Palestina e i Paesi arabi giudicati come “nemici” da Tel Aviv.
Ci sono diversi politici europei e italiani che non hanno scrupoli a fare dei profitti sul sangue dei morti palestinesi, ma la catena della corruzione, già abbastanza lunga, ha un altro anello fondamentale che è quello dell’Albania del premier Edi Rama.
L’Albania: il Paese più corrotto d’Europa
L’Albania viene definita da vari istituzioni e organizzazioni come uno dei Paesi più corrotti d’Europa, se non il più corrotto.
Tirana è al centro di una corruttela governativa che raggiunge i piani più alti delle istituzioni politiche albanesi perché questo Paese è forse quello che più di tutti ha pagato a caro prezzo la traumatica dismissione dell’URSS, e la conseguente spartizione del Paese a favore delle mafie locali e delle corporation internazionali che si sono appropriate del bottino di questa nazione.
Dopo la caduta del muro di Berlino, l’Albania subisce un processo non molto dissimile da quello già visto in altri Paesi che appartenevano alla cortina di ferro.
Il passaggio da una economia socialista centralizzata, già comunque disfunzionale, ad una fondata sui principi neoliberali del mercato deregolamentato e delle privatizzazioni selvagge consegna il Paese ai vari oligarchi stranieri che iniziano a prendersi a prezzo di saldo tutte le società di Stato albanesi.
Al dominio dello Stato centralizzato si sostituisce quello dei monopoli privati che versano laute tangenti a quei politici locali che assicurano che l’Albania resti nelle mani di quei gruppi che la depredano da 30 anni a questa parte.
Arriva la Open Society Foundation di George Soros, e nel Paese iniziano a diffondersi quelli idee liberali della società aperta sorosiana che demonizzano il senso di patria e di difesa della propria identità nazionale per convincere invece gli albanesi e gli altri cittadini che subiscono tale infiltrazione che il futuro passa per la liquidazione dei confini nazionali e per il “meticciato”, così caro a personaggi quali Corrado Augias ed Emma Bonino.
E’la OSF stessa che si incarica di scrivere una riforma del sistema giudiziario che assegna al partito socialista di Rama ancora più potere di quello che ha in mano tanto che ormai questa piccola nazione dei Balcani si può definire la perfetta cartina di tornasole del funzionamento pratico democrazia liberale, la quale si serve di autocrati locali per salvaguardare il potere dei vari plutocrati stranieri di turno.
Laddove c’è il dominio indiscusso del capitale, c’è però anche il trionfo del riciclaggio e l’Albania si è intestata anche, non sorprendentemente, questo primato.
Sui conti correnti delle banche albanesi affluiscono i soldi dei signori della droga che si servono di Tirana come di una enorme lavatrice per ripulire i profitti illegali, e tra questi ci sono anche i soldi di quei politici europei ed italiani che stanno guadagnando dal traffico di armi che parte da Roma passa per Kiev e giunge a Israele.
Edi Rama offre il suo gentile aiuto a coloro che vogliono servirsi del suo Paese per ripulire questi soldi sporchi, e ciò non desta alcuna sorpresa, soprattutto se si dà uno sguardo al curriculum del primo ministro, già accusato di compravendita di voti alle elezioni parlamentari del 2021, dove senza l’aiuto delle mafie il primo ministro albanese difficilmente sarebbe rimasto al potere.
A Bruxelles sanno perfettamente cosa accade a Tirana però qui non sembrano troppo interessati a denunciare l’enorme corruzione che infesta l’Albania e le sue elezioni truccate, troppo presi evidentemente dall’ingerire illegalmente invece negli affari della Georgia tanto da dichiarare le sue elezioni “irregolari” nonostante l’UE non abbia fornito nessuna prova a sostegno.
La lotta alla corruzione è, a quanto pare, come un termostato.
Si accende e si spegne a piacimento, e l’accensione riguarda ovviamente soltanto quei Paesi che osano discostarsi dal solco Euro-Atlantico e che non sono disposti a cedere le chiavi della propria sovranità a Bruxelles.
E’ per questo che vengono tollerati gli affari sporchi di Tirana, e questo spiega anche la ragione per la quale gli organi di “informazione” italiani nell’estate del 2023 diedero vita ad una campagna stampa che voleva far credere che ci fosse una sorta di eldorado del turismo a buon mercato in Albania a differenza dell’Italia , dove invece i prezzi sarebbero stati molto più alti.
Non sono stati in pochi gli italiani ad aver scoperto una volta sbarcati in Albania che tale campagna stampa non era altro che un cumulo di bugie, e che i prezzi in Albania non di rado erano persino più cari che in Italia e spesso accompagnati da servizi di bassa qualità.
A spingere i mezzi di comunicazione ad allestire una campagna pubblicitaria a favore di Tirana sono stati con ogni probabilità quegli stessi imprenditori e politici italiani che hanno portato i loro soldi sporchi nel Paese, per riciclarli in seguito in attività turistiche di vario tipo e rimettere in circolo così il denaro “lavato” e frutto di sporchi affari come il traffico di armi in Ucraina e anche con probabilità del business legato ai vaccini Covid.
A far capire che un simile traffico aveva luogo dall’altra parte dell’Adriatico era stato proprio Edi Rama che dichiarò, non smentito, che lui e l’ex ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, erano colpevoli di “traffico di vaccini”.
Rama disse, nel corso di un intervento che si tenne a Bergamo nell’ottobre del 2022 , che l’Albania riuscì ad avere dei vaccini Covid che sarebbero stati rivenduti illegalmente dal governo Draghi a quello albanese anche attraverso il contributo dei servizi segreti italiani, pienamente coinvolti in questo traffico illegale, a detta del premier di Tirana.
La Pfizer sarebbe venuta apparentemente a sapere del traffico e avrebbe minacciato azioni legali, ma poi avrebbe deciso di fare retromarcia anche se Rama nulla dice sulle ragioni di questo improvviso cambio di rotta.
La magistratura italiana, come suo solito, non si è minimamente interessata ad una questione che avrebbe tutti i crismi della corruzione internazionale.
Non ha nemmeno pensato di aprire un fascicolo per approfondire questa rivendita illegale di sieri Covid, e non ha nemmeno pensato di risalire ai beneficiari di questo traffico di vaccini, i cui proventi sono finiti con ogni probabilità sui conti correnti di qualche banca albanese, sempre attraverso la benedizione dell’ineffabile primo ministro albanese.
Gli affari con l’Albania, come visto, non sono però terminati con i vaccini nel 2021.
Sono continuati con il traffico di armi in Ucraina iniziato nel 2022 e proseguiti con lo sciagurato accordo firmato dalla Meloni nel 2023 per trasferire un piccolo manipolo di immigranti clandestini dall’Italia all’Albania per la gioia del corrotto governo di Edi Rama che si è messo in tasca 16 milioni e mezzo di euro grazie al presidente del Consiglio italiano.
Se le intenzioni erano davvero quelle di iniziare una seria politica per i rimpatri, allora sarebbe costato molto di meno e sarebbe stato molto più efficace pagare i Paesi di origine degli immigrati clandestini per riprendersi i suoi cittadini, come stanno già facendo da tempo altri Paesi europei.
Alla Meloni però non sembra stare a cuore la sicurezza degli italiani e la seria lotta all’immigrazione clandestina che sotto il suo mandato ha raggiunto cifre da record.
Sembra più preoccupata a girare il mondo e a tenersi ben lontana da palazzo Chigi, così come sembra ben più interessata a fare la fortuna del governo albanese.
Tirana oggi è a tutti gli effetti la cassetta di sicurezza delle tangenti dei politici italiani ed europei e questo ovviamente spiega perché Bruxelles e Roma amino così tanto l’Albania.
L’Albania è il posto dove si possono riciclare i soldi sporchi delle armi ucraine e dei vaccini.
L’Albania è il paradiso della corrotta classe politica italiana ed europea.
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Articolo perfetto
Grazie Aldo.