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Il declino della Merkel: Macron è il nuovo dittatore d’Europa
di Cesare Sacchetti
Svolta nelle elezioni della SPD, il partito socialista tedesco. I pronostici della vigilia che assegnavano la vittoria alla corrente moderata di Olaf Scholz, ministro delle Finanze in carica, e Klara Geywitz, sono stati completamente rovesciati a favore dei due rappresentanti dell’ala più a sinistra dei socialisti, Norbert Walter-Borjans, ex membro del governo regionale della Renania settentrionale, e Saskia Esken, parlamentare della regione del Baden-Württemberg.
E’ un terremoto che rischia di ridisegnare profondamente gli equilibri politici del governo Merkel. L’asse portante della grosse koalition tedesca è stato rappresentato difatti negli ultimi anni dall’alleanza tra la SPD e la CDU di Angela Merkel.
Ma gli ultimi insuccessi elettorali dei socialisti hanno provocato crescenti malumori del partito a favore della corrente ultraprogressista che invoca una fine dell’alleanza per tornare alle urne.
La SPD attraversa da tempo una profonda crisi per il suo appiattimento nei confronti della CDU, tale, secondo diversi osservatori, da aver pregiudicato la sua identità di partito di sinistra.
Gli ultraprogressisti in particolare vogliono porre fine al dogma del pareggio di bilancio perseguito ostinatamente dai falchi della Merkel, per adottare delle politiche economiche più espansive.
La Merkel sostanzialmente ora si trova di fronte a due alternative.
Capitolare alle richieste della nuova leadership e aprire un altro fronte di crisi nel suo stesso partito, la CDU, o restare ferma sulla linea del rigore dei conti con il serio rischio di tornare alle elezioni anticipate.
Nel secondo caso, la cancelliera uscirebbe di scena definitivamente per lasciare il passo al suo successore, Annegret Kramp-Karrenbauer, nota come mini-Merkel per ricalcare essenzialmente le stesse politiche del suo predecessore.
L’ascesa di Macron come nuovo leader d’Europa
Se dunque a vincere le elezioni socialiste è stata l’ala ultraprogressista dei nemici della Merkel, fuori dai confini tedeschi c’è un altro vincitore e si tratta di Emmanuel Macron.
Il presidente francese difatti non potrà fare altro che trarre ulteriori vantaggi dalla debolezza della cancelliera.
Negli ultimi mesi, abbiamo assistito ad un fenomeno inedito nella bilancia dei rapporti dell’asse franco-tedesco.
L’asse si sta spostando in maniera sempre più preponderante verso Parigi.
Le nomine europee che hanno portato all’elezione della Von der Leyen alla presidenza della Commissione UE e alla nomina di Christine Lagarde alla Bce non sono altro che il frutto degli accordi stretti da Macron nel vertice del Consiglio UE di luglio.
Nonostante la Von der Leyen abbia ricoperto il ruolo di ministro della Difesa nel governo Merkel, viene considerata molto più vicina a Macron che alla stessa cancelliera tedesca.
Christine Lagarde, dal canto suo, non appena entrata all’Eurotower di Francoforte, la sede della Bce, ha messo in discussione la politica del rigore dei conti e ha incoraggiato gli Stati membri a passare da un modello economico fondato sugli investimenti pubblici piuttosto che sulle esportazioni.
Il destinatario del messaggio è sembrato chiaramente Berlino che in tutti questi anni ha fatto delle esportazioni la sua forza economica.
Macron quindi sta assumendo sempre più potere e riveste sicuramente il ruolo di leader privilegiato nei confronti delle élite europee.
Se negli anni passati le alte sfere dell’establishment europeo avevano assegnato ad Angela Merkel lo scettro di guida dell’Europa, ora il testimone sembra essere passato nelle mani di Macron.
Il presidente francese pare aver dato l’accelerazione definitiva verso la fase finale del progetto di integrazione europea.
Non è un caso che sia stata sua la proposta di istituire la prossima conferenza per l’Europa che inizierà nel 2020, come non è certamente un caso che abbia proposto di assegnare la presidenza dell’evento a Guy Verhofstadt, ultrafederalista europeo già autore di un saggio in favore degli Stati Uniti d’Europa.
Gli Stati Uniti d’Europa sono il vero obbiettivo che è stato assegnato a Macron sin dall’inizio del suo mandato.
Vanno in questa direzione gli attacchi del leader francese verso la NATO, l’organizzazione atlantica, definita “morta celebrale”.
Macron vorrebbe archiviare la dipendenza dell’Europa dagli USA sulla difesa e la sicurezza del continente per passare ad una difesa comune e ad un esercito europeo.
L’inquilino dell’Eliseo definisce la sua visione “multilaterale” ma in realtà l’Europa è passata dall’unilateralismo tedesco a quello francese.
E’ per questa ragione che il leader di En Marche attaccava continuamente l’ex governo gialloverde, fino ad arrivare alla clamorosa decisione di richiamare l’ambasciatore francese in patria.
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Il precedente governo italiano era sicuramente più allineato verso Washington e il nuovo corso di Trump, determinato a favorire la costruzione di un’Europa fondata sulla preminenza degli Stati nazionali piuttosto che su quella di una struttura sovranazionale come gli Stati Uniti d’Europa fortemente influenzata dall’asse franco-tedesco.
Con la caduta del governo Lega-M5S e l’ascesa del governo PD-M5S, l’Italia si è riposizionata molto di più sull’asse di Parigi.
Macron ora virtualmente non ha opposizione in Europa. Gli Stati Uniti d’Europa, se dovessero vedere la luce, rappresenterebbero la fine della sovranità degli Stati nazionali in favore di un governo sovranazionale fuori da ogni controllo democratico.
Se dunque prima il “sogno” del progetto totalitario accarezzato dalle élite europee aveva il volto e il nome di Angela Merkel, ora il volto e il nome di quel progetto totalitario è sicuramente quello di Emmanuel Macron.
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