di Cesare Sacchetti Questa storia si può definire senza timore di smentita come uno dei più grossi...
I documenti di Guantanamo: la CIA coinvolta nell’11 settembre
di Cesare Sacchetti
C’è una notizia che in un mondo normale che si definisce “democratico” dovrebbe essere su tutte le prime pagine dei media Occidentali e che invece praticamente non esiste.
Le ipocrisie della stampa liberale che pretende di impartire lezioni sul culto dei diritti umani alla Russia e agli altri Paesi non allineati all’anglosfera sono, purtroppo, sin troppo note ma stavolta probabilmente si è raggiunto un nuovo minimo storico per ciò che riguarda la cosiddetta libera informazione.
La notizia in questione riguarda un evento così enorme e così drammatico da aver cambiato la storia non solo degli Stati Uniti, ma anche di quella del resto del mondo. Sono gli attentati terroristici dell’11 settembre 2001.
Il XXI secolo si è aperto così. Con le immagini di quegli aerei che si schiantavano in diretta in mondovisione sulle Torri Gemelle, edifici che erano stati proprio concepiti per resistere anche all’impatto di aerei proprio per la loro particolare struttura architettonica.
Tutti quel giorno ricordavano cosa stavano facendo e dove si trovavano. La memoria emotiva e i traumi ad essa legati sono un qualcosa che rimangono scolpiti dentro il profondo delle coscienze. Sono ricordi che non si cancellano.
E probabilmente tutti ricorderanno la versione ufficiale che è stata fornita all’opinione pubblica internazionale.
A dirottare i quattro aerei quel giorno furono un manipolo di terroristi, principalmente sauditi, che in realtà non avevano nemmeno le basilari nozioni e abilità di voli di aerei ben più piccoli.
Sarebbe stato il gruppo terroristico Al-Qaeda guidato dall’ex amico dello stato profondo di Washington, Osama Bin Laden, ad orchestrare quella che può essere definita come la più complessa operazione di attacco terroristico della storia nei confronti della prima potenza mondiale.
Ora fermandoci un istante e tralasciando il fiume di numerosissime incongruenze e contraddizioni logiche e scientifiche presenti nella versione ufficiale, prendiamo in esame questa versione.
Quella secondo la quale sarebbero stati dei terroristi arabi a concepire il tutto.
La CIA ha aiutato i terroristi
E’ di questi giorni la notizia che due dei presunti autori degli attentati, i sauditi Nawaf al-Hazmi e Khalid al-Mihdhar, avrebbero ricevuto l’aiuto di una delle agenzie di intelligence più importanti degli Stati Uniti e del mondo: la CIA.
Al-Hazmi e al-Midhar sono giunti negli Stati Uniti tempo prima che gli attacchi fossero attuati, precisamente nel gennaio del 2000 con in tasca dei visti per ingressi multipli.
Una volta sbarcati in California, all’aeroporto di Los Angeles, ad attenderli c’era un altro cittadino saudita, Omar al-Bayoumi, che li avrebbe assistiti per trovare un appartamento in città oltre a presentarli ad un imam di una moschea locale.
Al-Bayoumi ha dichiarato successivamente che in realtà l’incontro con i due sia stato puramente causale. Una volta visto che i due avevano difficoltà a muoversi in una città che non conoscevano e vista anche la loro incapacità di sapersi esprimere in inglese, si sarebbe offerto di aiutare la coppia di sauditi per puro spirito di solidarietà verso i due connazionali.
La storia che invece raccontano le varie agenzie di intelligence è ben diversa. Al-Bayoumi si trovava negli Stati Uniti per gestire una rete di controllo del dissenso nei confronti del regime wahabita di Riyad. Il suo compito era di monitorare i dissidenti sauditi negli Stati Uniti che potevano rappresentare potenziale minacce per il regno saudita.
In quella circostanza particolare, la sua missione era quella di accogliere i due e di inserirli nella cellula della sua rete locale.
Fin qui, tutto appare coerente con la versione ufficiale secondo la quale gli Stati Uniti sarebbero stati vittima di una raffinata opera di infiltrazione da parte di terroristi arabi che sulla carta sarebbe stata pressoché impossibile senza i finanziamenti e l’assistenza di un governo straniero come quello dell’Arabia Saudita.
Ciò che appare solo apparentemente sconvolgente è che i due sauditi sarebbero stati avvicinati dalla CIA e protetti dall’agenzia governativa americana.
La CIA cercava dei metodi per poter infiltrare il gruppo terroristico al-Qaeda e avrebbe pensato di ricorrere a due suoi membri operativi per poter riuscire nel piano.
A far notare come questo piano fosse pressoché impossibile sono stati degli agenti dell’FBI che hanno condotto indagini su quella che era nota come “stazione Alec”.
Stazione Alec era un gruppo operativo della CIA che aveva appunto il compito speciale di infiltrare al-Qaeda.
In questi giorni sono emersi una serie di documenti pubblicati dalla commissione militare di Guantanamo nei quali si racconta come l’FBI stesse seguendo già questa rete di terroristi presenti in California.
Un agente dell’FBI che viene chiamato con il nome in codice CS-23 ha affermato che ciò che voleva fare la CIA era praticamente impossibile. Era praticamente impossibile pensare di infiltrare un gruppo terroristico che si pensava operasse in Yemen dalla California.
Ma l’aspetto più inquietante è che secondo il bureau sarebbero stati gli uomini della CIA stessi a fornire a Nawaf al-Hazmi e Khalid al-Mihdhar i conti correnti necessari ai due sauditi per potersi muovere in California, compreso il loro appartamento.
Al-Bayoumi avrebbe soltanto fatto quanto già detto in precedenza “su richiesta della CIA” stessa.
Quando l’FBI ha provato ad indagare sui tre e a mettere in guardia gli agenti della CIA sul fatto che i tre fossero pericolosi terroristi, l’agenzia di Langley avrebbe sollevato il classico muro di gomma respingendo ogni singola richiesta di sorvegliare e arrestare gli uomini.
Un anno e nove mesi dopo, i due, stando alla versione ufficiale, si sarebbero imbarcati sull’aereo dell’American Airlines AA77 e si sarebbero schiantati contro il Pentagono.
Le impossibilità logiche e scientifiche della versione ufficiale
E qui si apre il problema di carattere logico che si è sollevato in precedenza. L’AA77 era guidato da Hani Hanjour, un cittadino saudita, che a detta dei suoi istruttori di volo non era in grado nemmeno di guidare da solo un piccolo aereo Cessna.
Esperti piloti di tutto il mondo hanno provato a ricreare la manovra che avrebbe attuato Hanjour e ognuno di essi ha fallito. Da un punto di vista aereodinamico, la versione ufficiale non ha senso alcuno. È semplicemente impossibile.
C’è poi un altro aspetto. Non c’è semplicemente l’aereo. L’A77 è un Boeing 757. Se prendiamo la scheda tecnica di un 757 apprendiamo che esso ha una lunghezza di 47,32 metri ed un’apertura alare di 38 metri circa. Il suo peso operativo a vuoto è di 62mila kg. Questo enorme mostro d’acciaio lanciato ad una velocità di centinaia di chilometri orari avrebbe dovuto travolgere tutto ciò che trovava sul suo cammino.
E invece nulla. Sulla facciata del Pentagono c’è un buco le cui dimensioni sono enormemente più piccole di quelle che avrebbe dovuto produrre un Boeing. Sul prato antistante la facciata dell’edificio non c’è nessun segno del passaggio di quell’enorme aereo.
La facciata del Pentagono dopo l’impatto
Persino i cronisti dei media mainstream quando giunsero sul posto non poterono fare a meno di costatare che non c’era nulla che indicasse che un AA77 avesse colpito il Pentagono.
Niente fusoliera. Niente motore. Niente carrello. Niente ali. L’aereo si sarebbe praticamente dissolto nel nulla.
La verità su quello che è accaduto sarebbe nelle numerose telecamere che circondano il Pentagono ma nulla è stato mai pubblicato salvo un filmato nel quale non si vede praticamente nulla e che sembra essere stato chiaramente manipolato o artefatto.
Un altro filmato di un distributore di servizio che era puntato sulla facciata del Pentagono è stato immediatamente sequestrato dagli agenti federali il giorno stesso dell’attentato.
Ad oggi, quel filmato non è stato mai rilasciato e ciò dimostra che c’è una volontà specifica da parte delle agenzie investigative americane di insabbiare la verità su quel giorno.
Una verità che appare in completo contrasto con tutto quanto è stato raccontato dall’11 settembre in poi.
I giorni successivi agli attacchi quelle agenzie governative che avevano fallito nella sorveglianza di noti terroristi pubblicavano immediatamente una lista dei presunti 19 responsabili.
Tra questi, ben quattro risultavano essere vivi. E molti di loro hanno protestato per essere stati messi su quella lista.
La “mente” degli attentati negli Stati Uniti, Mohammed Atta, secondo sua madre sarebbe ancora vivo e probabilmente detenuto a Guantanamo.
Il padre di Atta, Mohammed el-Amir Atta, ha dichiarato di aver parlato al telefono con suo figlio il giorno dopo gli attacchi.
Ci sono tutti gli elementi dunque per giungere alla conclusione che gli uomini messi su quella lista erano probabilmente o elementi gestiti dai servizi di intelligence americani che hanno poi assunto una nuova identità altrove oppure, come nel caso dei quattro che risultano vivi, degli ignari arabi che sono stati scelti per essere i capri espiatori dall’FBI che aveva fretta di dare in pasto all’opinione pubblica americana e mondiale i colpevoli prescelti dagli ambienti di Washington.
Qual è dunque la verità? Chi ha orchestrato gli attentati? La logica fattuale porta a dire che è impossibile che un gruppo di arabi senza preparazione specifica e senza una conoscenza dell’inglese abbia potuto dirottare degli aerei che nemmeno sapevano pilotare, e che poi questi siano riusciti indisturbati a violare le misure di sicurezza del caso quando un aereo cambia rotta e stacca il trasponder senza avere avuto qualche tipo di aiuto dall’apparato preposto alla sorveglianza dei cieli americani.
I piloti che hanno chiesto di fare davvero luce su quanto accaduto quel tragico giorno hanno proposto la spiegazione più semplice e l’unica che riesce a superare la prova della aereodinamica.
Gli aerei sono stati pilotati da terra con la tecnologia del controllo remoto. Lo spiega molto bene il capitano Dan Hanley, pilota di lungo corso. Quegli aerei sono stati controllati elettronicamente da terra e se c’era una regia così sofisticata è evidente che la mente di questa complessa operazione non può essere cercata in qualche grotta dell’Afghanistan come voleva far credere l’amministrazione Bush.
Solo le più avanzate agenzie di intelligence del mondo potevano riuscire a mettere in atto un colpo simile.
Gli attentati hanno permesso di attuare la politica sionista neocon
E soprattutto la domanda che va posta sul caso è una sola: cui prodest? Chi aveva interesse ad eseguire una simile strage? La risposta è negli architetti dell’amministrazione Bush. Quel gruppo di feroci neocon sionisti quali Bill Kristol, Dick Cheney, Paul Wolfowitz, Richard Perle, John Bolton e Donald Rumsfeld che in un documento firmato quattro anni prima dell’11 settembre e intitolato “Progetto per un Nuovo Secolo Americano” tracciavano le linee di politica estera della futura amministrazione di Bush.
Linee di politica estera che si fondavano sulla necessità di ricorrere ad una nuova “Pearl Harbor” per suscitare lo shock della opinione pubblica internazionale e giustificare così una serie di aggressioni contro Paesi che non rappresentavano una minaccia per gli Stati Uniti, quanto per Israele e i suoi progetti di espansione e dominio territoriale.
Quando a New York le Torri crollavano, il mondo piangeva scioccato ma c’era qualcun altro che invece esultava.
C’era un gruppo di cinque persone che danzava su un furgone parcheggiato non molto distante dagli attacchi e che riprendeva la scena del crollo. Quando le Torri sono crollate, i cinque non si sono affatto disperati.
Hanno gioito felici. Già all’epoca si pensava che i cinque lavorassero direttamente per il Mossad. Non si riuscì comunque a fare luce. I cinque furono rilasciati grazie ai buoni uffici di Israele.
Se si guardano da vicino dunque gli attentati di quel giorno, si vede che c’è una pista che conduce non a Riyad, a Kabul o a Baghdad.
Si vede una vistosa traccia che conduce a Tel Aviv. Una traccia che tutte le agenzie investigative americane hanno rifiutato di seguire.
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