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Cesare Sacchetti

Il delitto di Wilma Montesi tra massonerie e messe nere

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05/02/2025

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di Cesare Sacchetti

Il corpo di una giovane ragazza viene notato l’11 aprile del 1953 sulla spiaggia di Torvaianica.

A vederlo per primo è un giovane manovale di 17 anni, Fortunato Bettini, che sta facendo dei lavori in una villetta in costruzione nei paraggi.

Il 17enne vede che il corpo della giovane è senza vita, e chiama subito i soccorsi per provare a capire cosa è accaduto.

Il corpo di Wilma Montesi sulla spiaggia di Torvaianica

Le autorità giunte sul posto sembrano propendere per l’ipotesi dell’annegamento anche se sin da subito non è ben chiaro come sia annegata quella donna e soprattutto che cosa ci facesse quel giorno sulle spiagge di Torvaianica.

La giovane era Wilma Montesi, un nome che ancora oggi evoca uno dei casi più intricati e irrisolti della storia politica italiana del dopoguerra così ricca purtroppo di misteriose morti nelle quali spesso c’è la presenza dei poteri forti.

La polizia sin dal principio non sembra interessata più di tanto a capire cosa se dietro la morte della 21enne romana ci fossero degli elementi che potessero far pensare all’omicidio piuttosto che alla morte accidentale.

Si corre subito verso l’ipotesi dell’incidente e a stabilire che la donna sarebbe morta in seguito ad un malore mentre faceva un “pediluvio” per cercare sollievo ad una dermatite sui talloni, è l’istituto di medicina legale di Roma.

Caso chiuso subito nei primi mesi, e tutti felici perché non si è voluto cercare di capire come mai il corpo della romana fosse finito su quella spiaggia nonostante diversi testimoni dissero di averla vista prendere il treno che dalla stazione Piramide a Roma porta ad Ostia.

Ostia si trova ad almeno 17 km da Torvaianica, e i primi medici legali che eseguirono l’autopsia che imputò le cause del malore alle mestruazioni della giovane sostennero che le correnti avevano portato il corpo lì, e che il corpo di Wilma non aveva subito violenza sessuale.

Non la pensava così però un altro anatomopatologo, il professor Pellegrini, che ravvisò presenza di sabbia nelle parti intime della ragazza denotavano il tentativo di una violenza sessuale.

Sul cadavere c’erano anche lividi e segni di escoriazione, e questo rafforzava ancora di più l’ipotesi che Wilma Montesi fosse stata abusata prima di morire e che il corpo su quella spiaggia non ci era finito perché trasportato dalle correnti marine, scenario anche questo alquanto dubbio, ma perché qualcuno ce l’aveva portato appositamente per lasciarlo lì, forse quando la donna era ancora viva.

Le rivelazioni di Silvano Muto

Nei primi mesi della “inchiesta” lampo che aveva molta fretta di liquidare la faccenda come una banale disgrazia, nulla si smuove fino a quando non arriva a scrivere un articolo esplosivo il giornalista Silvano Muto sul suo settimanale “Attualità”.

Muto firma un pezzo intitolato La verità sulla morte di Wilma Montesi e riferisce le clamorose dichiarazioni di Adriana Bisaccia, una donna che partecipava a dei festini che avevano luogo in una tenuta nei pressi di Capocotta a poca distanza da Ostia, dove Wilma era stata vista dirigersi la sera prima della sua scomparsa, il 9 aprile del 1953.

La Bisaccia era una giovane avellinese che era giunta a Roma perché voleva sfondare nel mondo del cinema.

Erano gli anni d’oro dell’industria del cinema italiano e Cinecittà all’epoca era assieme a Hollywood il centro della cinematografia internazionale.

Non era raro che molte avvenenti giovani volessero tentare la strada della fortuna e del successo varcando i cancelli di Cinecittà e non era nemmeno raro, come non lo è oggi, che le aspiranti attrici fossero disposte a scendere a diversi “compromessi” con i signori della celluloide pur di avere una chance di apparire in qualche film.

La Bisaccia rivela che la verità su Wilma è molto diversa da quella che hanno voluto far credere le inchieste.

La Montesi quella sera si trovava in una tenuta di Capocotta di proprietà del marchese Ugo Montagna, un personaggio con potenti entrature nel mondo della politica e dell’aristocrazia romana ed italiana.

Quella sera a Capocotta ci sarebbero stati personaggi della Roma bene, quali Piero Piccioni, musicista jazz e figlio del ministro della Democrazia Cristiana, Attilio, assieme ad altri uomini che appartenevano sia alla politica sia alle forze dell’ordine che assicuravano la loro protezione a questo circolo di potenti.

Piero Piccioni

In quella casa si facevano, secondo le prime rivelazioni sul caso, festini, orge e spesso vere e proprie messe nere.

Non solo quindi delle riunioni a base di sesso all’insegna dello spirito “dionisiaco”, per così dire, ma anche dei riti satanici che prevedevano la partecipazione delle giovani partecipanti che bramavano il successo e la fama facile.

Le droghe venivano somministrate di frequente in questi festini e a Wilma, secondo il racconto della Bisaccia, sarebbero state date delle sigarette che contenevano stupefacenti assieme ad alcool che avrebbero poi causato il malore della 21enne romana.

Tra i partecipanti al festino deve essersi diffuso il panico e viene deciso di portare via la Montesi da quella festa per essere abbandonata sulla spiaggia di Torvaianica, con ogni probabilità ancora viva, e poi solo successivamente affogata dopo aver perso i sensi per il mix di stupefacenti e alcolici.

I primi sospetti ricadono proprio sul figlio del ministro Piccioni, Piero, accusato di aver trasportato con la sua auto la giovane colta da malore sulla spiaggia dove poi venne trovata morta due giorni dopo, l’11 aprile.

Muto venne denunciato e portato a processo con l’accusa di notizie false e la donna che lui aveva chiamato in causa, Adriana Bisaccia, aveva iniziato a ritrattare probabilmente perché intimorita dalle pesanti minacce ricevute dai potenti coinvolti in questa storia.

Le rivelazioni di Maria Moneta Caglio

A corroborare però quando inizialmente detto e poi negato dalla Bisaccia fu un’altra donna, Maria Moneta Caglio.

Di nobili origini, figlia di un notaio milanese, la Caglio era anche lei giunta a Roma per tentare la carriera di attrice del cinema e in quegli anni era anche l’amante di Ugo Montagna, il “tenutario” della casa di Capocotta dove si consumavano festini e riti satanici.

Maria Moneta Caglio

Maria Moneta rivela che lo stesso Montagna le aveva confessato che effettivamente la Montesi si era sentita male quella sera e che lui, Piccioni, assieme a due aiutanti della tenuta avrebbero caricato il corpo in macchina per poi trasportarlo a Torvaianica, luogo dove Wilma non era giunta per le correnti marine, come confermato poi da altre perizie che smentirono i medici dell’istituto di medicina legale di Roma.

Maria Moneta Caglio non ha mai ritrattato la sua storia e all’epoca aggiunse anche che Ugo Montagna stava facendo tutto il possibile per insabbiare questa torbida storia assieme all’aiuto dell’allora capo della Polizia,  Tommaso Pavone, e Saverio Polito, il questore di Roma.

Ugo Montagna: un massone di alto livello

Ugo Montagna riusciva a quanto pare ad arrivare ai piani più alti del potere perché non era proprio un personaggio qualunque ed era molto di più di un banale prosseneta come qualche quotidiano dell’epoca provò a far credere.

Il celebre ufficiale della Marina canadese, William Guy Carr, autore dell’opera “Pedine nel gioco” disse che il marchese di origini siciliane era un massone di alto grado già ai tempi del fascismo quando la libera muratoria era stata messa fuori legge da Mussolini nel 1925.

Montagna già in quegli anni si era guadagnato la reputazione di uomo alquanto spregiudicato, avvezzo a truffe di vario tipo con assegni scoperti e già gestore di alcuni bordelli frequentati da vari personaggi dell’alta società di quegli anni.

La disfatta dell’armistizio di Cassibile del 1943 non rappresenta un problema per il marchese siciliano, ma anzi un’opportunità.

Montagna era uno di quei fascisti per convenienza e non aveva mai avuto alcuna vera convinzione nelle idee del ventennio, considerata anche la sua appartenenza alla massoneria che vedeva, e ancora oggi vede, nel fascismo, assieme alla Chiesa Cattolica di sempre, il nemico assoluto.

Dopo il 1943 infatti l’aristocratico che negli anni precedenti faceva l’informatore per l’OVRA e per i nazisti decide di saltare sul carro dei vincitori anglo-americani e inizia a lavorare per i servizi degli Stati Uniti e dell’Inghilterra.

Il potere di Montagna cresce.

Negli anni del dopoguerra i personaggi che contano è da lui che vanno per soddisfare i loro appetiti sessuali e spesso in quelle sere di festa si travalica, come visto in precedenza, il confine tra edonismo ed occultismo perché le messe nere a Capocotta erano cosa frequente.

Montagna sembra per certi aspetti aver raccolto la “eredità” di Aleister Crowley , il famigerato massone e occultista britannico, che a Cefalù nei primi anni’20 del secolo scorso usava praticare il sesso di gruppo omosessuale e tenere delle messe nere nelle quali venivano anche uccisi giovani ragazzi del posto, fino a quando Mussolini decise di espellerlo dall’Italia per via delle sue attività sataniche.

Il marchese però in Italia era riuscito arrivare ancora più in alto dello stesso Crowley.

La guerra era finita. La massoneria era stata ristabilita e la sua influenza cresciuta enormemente nella nuova repubblica costituzionale tanto che non è un segreto che diversi padri costituenti erano liberi muratori.

Montagna aveva tra i suoi clienti non solo però militari, politici e giornalisti ma anche uomini come Riccardo Galeazzi Lisi, medico di papa Pio XII, che venne cacciato dal Vaticano dopo che aveva venduto ad alcune riviste scandalistiche le foto del pontefice in fin di vita.

Lisi era molto amico di Montagna ed era uno dei partecipanti di quei festini e di quelle messe nere. Non era però purtroppo l’unico in Vaticano a frequentare questi luoghi.

Assieme a lui c’era monsignor Giovanni Montini che negli anni della seconda guerra mondiale era divenuto segretario di Stato nel pontificato di Pio XII, ma mentre papa Pacelli era integerrimo nella sua crociata contro il comunismo, Montini invece si dava da fare per stringere accordi con uomini del PCI, quali Palmiro Togliatti.

Pio XII scoprì il tradimento e lo fece allontanare a Milano, ma questo però non impedì all’arcivescovo di Milano di continuare a frequentare quei mondi ben lontani dalla Chiesa Cattolica.

Montini era infatti stato già schedato anni addietro per la sua omosessualità, “coltivata” anche durante il suo pontificato sotto il nome di Paolo VI.

Il pontefice che completò l”opera” del Concilio Vaticano II iniziata da Giovanni XXIII era lui stesso, secondo quanto riferito dal sacerdote Malachi Martin, un officiatore delle messe nere tanto da celebrarne dopo la sua elezione a papa nel 1963  una in Vaticano, nella quale “consacrò” la Chiesa Cattolica a Lucifero, l’angelo caduto considerato dio dai vari massoni e satanisti.

Montagna era a questi ambienti che dava del tu. Il citato ammiraglio canadese Carr lo descrive come un uomo estremamente potente e dotato di enormi risorse finanziarie e non sorprende quindi che nonostante la volontà di alcuni di processarlo per l’omicidio della Montesi ne uscì indenne.

La Caglio aveva affidato tutte le sue rivelazioni in un memoriale scritto e consegnato poi al padre gesuita Alessandro Dall’Olio.

Una copia del memoriale finisce nelle mani di Amintore Fanfani, allora ministro dell’Interno, che sembra determinato a far luce sulla storia attraverso l’aiuto dei Carabinieri in parte anche presumibilmente per uno scontro interno alle correnti della DC.

Il processo contro Montagna e Piccioni

Il caso che sembrava morto nel’53 si riapre quindi nel’54.

Vengono arrestati Piero Piccioni, il cui padre Attilio aveva già nel frattempo lasciato il suo incarico da ministro degli Esteri, Ugo Montagna e l’ex questore Polito.

Il processo non viene celebrato a Roma ma a Venezia, per quella che nei termini legali viene definita legitima suspicione, una circostanza che porta a considerare la sede nella quale si dovrebbe tenere il dibattimento non abbastanza imparziale rispetto ai personaggi coinvolti nel caso.

In aula, la Caglio conferma tutte le sue accuse e intanto decise di scrivere una sorta di testamento o meglio di “polizza assicurativa” nel timore che qualcuno potesse farla sparire.

Affida quattro lettere scritte ad una sua amica, Aldemira Marri, nelle quali scriveva anche queste parole.

“Sapendo di che natura sono tanto Ugo Montagna quanto Piero Piccioni, figlio dell’onorevole, temo di poter scomparire senza lasciare traccia di me stessa. Ho saputo che il capobanda del traffico degli stupefacenti è Ugo Montagna con annessa scomparsa di molte donne. Egli è il cervello di questa organizzazione mentre Piero Piccioni è l’assassino.”

Non è soltanto interessante il fatto che la aristocratica milanese accusava apertamente Montagna di essere un trafficante di donne che spesso sparivano in circostanze misteriose o mai chiarite, come la Montesi, ma anche di gestire il giro degli stupefacenti, a conferma che le mafie erano, e sono, soltanto il gradino inferiore della criminalità organizzata, mentre quello superiore è da sempre occupato da uomini molto in alto nelle varie logge massoniche.

Nonostante la Caglio fosse rimasta saldamente sulle sue posizioni durante il dibattimento, i giudici del tribunale di Venezia assolvono gli imputati per “non aver commesso il fatto”, e in particolar modo a salvare uno dei tre, Piccioni, è stato l’alibi che fornì la sua fidanzata, la nota attrice Alida Valli.

Alida Valli

La giovane milanese non tornò indietro sulle sue posizioni nemmeno negli anni successivi. Nemmeno quando le venne inflitta una condanna a due anni per calunnia nel 1966.

Era un punto d’onore per la Caglio, divenuta poi avvocato e studiosa di storia medievale, difendere la reputazione della sua famiglia e fino alla sua morte, avvenuta nel 2016, la nobildonna continuò a sostenere che quella sera la Montesi fu assassinata per volontà di potenti come Montagna e Piccioni che godevano di entrature potentissime.

Il caso Montesi ancora oggi non ha ufficialmente un colpevole perché la malata giustizia della Repubblica del’46-48 ha partorito un sistema giudiziario e politico nelle mani delle massonerie che assicura impunità agli appartenenti di questi circoli del potere.

La morte della Montesi avvenuta a soli 7 anni di distanza dalla nascita della Repubblica può considerarsi come uno spartiacque nella storia dell’Italia.

Si era passati da un periodo storico nel quale la massoneria era messa al bando ad uno nel quale era divenuta lei la signora del potere.

Il caso Montesi in fin dei conti può essere considerato come la perfetta cartina di tornasole di questo passaggio.

L’omicidio di questa giovane donna per mano di sette occulte e logge massoniche può considerarsi a tutti gli effetti come il sacrilego battesimo della repubblica del tradimento nata sotto la tenda di Cassibile.

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2 Commenti

  1. Nicolai

    Ottima ricostruzione della vicenda. Una sola osservazione. Perche’ si continua a definire la capitolazione di Cassibile come armistizio? Questo e’ una accordo di ambo le parti belligeranti di far tacere le armi, come dice la stessa etimologia della parola. A Cassibile fu decisa la resa incondizionata, cioe’ la capitolazione. Certo, e’ vergognoso, ma e’ cosi’.

    Rispondi
    • La Cruna dell'Ago

      Salve Nicolai, generalmente con il termine armistizio si intende anche la capitolazione che tu citi.

      Rispondi

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